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Letto di ospedale

Il Maestro

:: di Andrea Guglielmino ::

Rantoli. Rumore di ossa che scricchiolano. Flatulenze. Colpi di tosse.

È lì, 89 anni compiuti a gennaio, è lì, inerte, scheletrico, vulnerabile. Tutti noi dell’infermeria lo chiamiamo con rispetto “Maestro”, e a tutti sembra assurdo che sia avvolto nelle medesime lenzuola che hanno ricoperto centinaia di “signor nessuno” che sono andati e venuti dall’ospedale, a volte tornati più volte, a volte per salutare per sempre questo mondo. In pochi hanno osato rivolgergli domande sul suo lavoro.

Osannato ovunque, celebrato. Direttore d’orchestra per le più famose filarmoniche del mondo, ha composto per i più grandi registi colonne sonore di film considerati unanimemente capolavori del cinema mondiale e ricevuto nomination e premi di ogni genere.

Qui, però, è solo una persona anziana alla fine dei suoi giorni. Ne abbiamo visti di personaggi famosi, ma non ci si abitua mai alla nostra prospettiva. Quando arrivano qui sono tutti uguali, tutti malati. Soprattutto quando le condizioni sono critiche. La malattia e la morte equilibrano l’universo.

E poi, in questo caso, non è la fama che fa grande qualcuno. È il talento.

Il Maestro è qui da marzo. Viveva e respirava musica. Notava il tintinnio delle posate quando gli servivano la cena, finché è stato in grado di mangiare. Era rapito dal canto dei passeri quando gli addetti alle pulizie aprivano la finestra per far cambiare aria alla stanza. Faceva arte con gli strumenti che aveva. Un giorno chiese dei bicchieri e li riempì d’acqua a livelli diversi per creare una piccola melodia sfregando attorno al bordo di ciascuno con le dita inumidite. Tutto il reparto applaudì.

Cercava sua moglie, ogni tanto, ed era sempre difficile ricordargli che se n’era andata prima di lui, due anni prima.

Il Maestro sembrava così irraggiungibile, intoccabile. Eppure oggi dobbiamo toccarlo per permettergli di avere una dignità e dei vestiti puliti. Dobbiamo cambiarlo, rivoltarlo, cambiargli posizione perché non decubiti, ogni sera. Vorremmo accarezzarlo, trasmettergli più affetto e rispetto. Vorremmo fare di più, ma i ritmi frenetici di corsia di questi giorni non sempre lo consentono. Siamo stremati.

Il Maestro è nella condizione in cui finirà, presto o tardi, ciascuno di noi. Il Maestro è noi e noi siamo lui. E per questo gli vogliamo bene. Forse è sempre stato così, per questo ci siamo riconosciuti nelle sue partiture e le abbiamo amate così tanto, anche senza necessariamente comprenderle fino in fondo.

È gentile il Maestro. E quando qualcuno, per distrarlo, gli chiedeva come fosse dal vivo questo o quel regista, rispondeva sempre: “normale”. Certo. Per lui, che è così grande, sono tutti normali. Il mondo è meravigliosamente, armonicamente normale. Anche oggi, che siamo qui a rivolgergli quello che, lo sappiamo, sarà probabilmente l’ultimo saluto.

Rantoli. Rumore di ossa che scricchiolano. Flatulenze. Colpi di tosse. Dati a cadenza ritmica. Un rantolo, due ossa, tre colpi di tosse, una flatulenza. Rantolo, ossa, tosse, flatulenza. Un valzer, forse. Non sono esperto di musica. Nessuno di noi lo è, ma quella del Maestro arriva al cuore, anche se costruita con i rumori della decadenza. Tutti abbiamo capito.

Non stava solo morendo.

Ci stava offrendo un regalo, un ringraziamento. La sua ultima sinfonia, composta con il suo corpo in disfacimento. L’ultimo strumento che ha a disposizione, e che presto abbandonerà per diventare lui stesso musica.

© Testo – Andrea Guglielmino

:: Editing a cura di Stefano Angelo ::

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6 thoughts on “Il Maestro

  1. Che cosa incredibile: ho appena finito di leggere un articolo sulla dipartita di Morricone e poi mi imbatto in una poesia sulla morte del Maestro. Esistono coincidenze che hanno la forza di una ruspa scavatrice…
    Il Maestro se ne è andato. Il Maestro non tornerà più. Ma se ne parlerà, lo si racconterà, che sia tra le righe fredde di un articolo di giornale o tra gli spazi poetici di un racconto come questo. Il Maestro del racconto non è lo stesso che ci ha lasciati oggi ma la colonna sonora che quest’ultimo ha impresso nelle nostre vite ha contribuito a identificare il protagonista di questo racconto nella mia mente e nel mio stato d’animo.
    E poi, diciamola tutta, non è solo una colonna sonora a generare simbiosi con un personaggio. È il talento. E questo testo lo esprime tutto.

  2. Un racconto che va sotto la pelle e che fa riflettere non soltanto sulla morte, ma sul “come” e anche sul “dove” si muore.
    Il “maestro” muore dunque immerso nella musica, l´ultima “sua” musica, composta negli ultimi momenti di vita terrena del e con il suo corpo.
    Mi sento di fare solamente un piccolo rilievo a questo bel pezzo: se “in pochi hanno osato rivolgergli domande sul suo lavoro” diciamo che in verità nel brano se ne parla molto.

  3. In uno stile asciutto e incisivo un racconto che riesce a sottolineare la grandezza e la fragilità umana.

  4. I miei occhi non sono riusciti a cambiare posizione rimanendo fissi a scorrere le parole di questo emozionante racconto. Sembra quasi di essere in quella stanza, vicino al letto del “Maestro”, pronti a godere della magia delle sue sinfonie ma soprattutto a lasciarsi trasportare dalla grandezza che trapela dai suoi gesti, dal suo sguardo.
    La conferma che siamo tutti uguali, tutti con le stesse paure, le medesime fragilità. Allo stesso modo la riprova che solo chi ha donato la sua grandezza agli altri senza nemmeno averlo saputo, può godere degli sguardi carichi di stima di chi lo incontra.
    Ognuno ha la possibilità di dare un volto al “Maestro” raffigurandolo con chi rappresenta una grande persona nella propria vita, ognuno ha la possibilità di vivere pensando a quanto sia bella la normalità dell’essere grande.
    Un racconto che tocca le corde più profonde.

  5. Scevro di aggettivi superflui, un racconto intenso sugli ultimi giorni di un gran musicista, un eccelso artista che era un comune mortale ed era ben conscio di esserlo. Bello, emozionante.

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