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Connessioni neuronali e codice Matrix

BIP-BIP, una storia vecchia

:: di Salvina Pizzuoli ::

Potremmo iniziare con “Tanto tempo fa”, per quanto è vecchia questa storia, ma non importa il periodo in cui si è svolta, se non è più attuale intendo dire, la voglio raccontare lo stesso, perché a me è piaciuta.  Non è necessario ambientarla, né collocarla precisamente in un arco temporale, potremmo dire che è avvenuta in una città senza nome e in un lasso di tempo imprecisato.


BIP-BIP era il nomignolo con il quale era stato simpaticamente battezzato il nuovo cervello elettronico installato negli uffici della grande fabbrica.
Tutti avevano aspettato con ansia il suo arrivo e la sua sistemazione nei vecchi uffici,  non solo perché aveva portato un po’ di trambusto nel tran-tran quotidiano, ma la presenza del cervellone dava anche lustro e prometteva di snellire il lavoro.


Con grande ammirazione e deferenza avevano seguito le operazioni dei tecnici che con il loro camice bianco incutevano reverenziale timore,  quasi come il medico al paziente che attende una diagnosi assolutoria.
Quel camice era simbolo di scienza, perfezione, ma anche di prodigio; spesso avviene infatti che tutto ciò che è eccezionale, nel senso che non si verifica tutti i giorni, ci sembri figlio del  miracolo.


Quando le operazioni furono terminate, BIP-BIP entrò in funzione con regolarità e precisione instancabile. Per giorni e giorni furono collocati nella sua memoria infallibile: dati, termini, calcoli, operazioni. Imperturbabile, sembrava non dar segno né di stanchezza, né di saturazione, né di soddisfazione; l’unico tangibile segno della sua presenza e attività era contrassegnato da quel ronzio, costante, strascicato e monotono che gli aveva meritato il nomignolo.


L’impiegato che per mesi aveva seguito i corsi di formazione e specializzazione all’uso del calcolatore si chiamava Biagio Arrigoni. Il signor Arrigoni era un ometto piccolo di statura, con una pancetta arrogante che si imponeva, sprezzante di ogni minimo senso dell’opportunità, tra bottone e bottone della camicia non disdegnando di straripare anche attraverso altri spazi.
Ma era il suo viso paffuto e quell’aria arguta, che traspariva dietro le spesse lenti degli occhiali, a conferirgli un aspetto giovanile e scanzonato nonostante l’età non più giovanissima.
Solo, senza famiglia e senza impegni si era dedicato anima e corpo allo studio dell’informatica che era divenuta amore e disperazione a un tempo.


L’incontro tra i due segnò per Biagio un vero e profondo cambiamento: poteva riversare tutta la sua dedizione e conoscenza su quel gioiello di perfezione informatizzata rappresentato da BIP-BIP.
Non gli sembrò quindi strano scoprire, con il passare del tempo, di nutrire sentimenti nei confronti di quella che a molti, dall’esterno, poteva apparire solo una macchina.
Gli parlava, si complimentava, restava interdetto dalla velocità di esecuzione o dalla risposta o dai rifiuti a proseguire o eseguire il comando se questo fosse stato registrato come errato. Lo colpiva soprattutto che non vi fossero mai inesattezze, ma solo risposte razionali alla mancanza di dati o di comandi inadeguati a concludere o proseguire le operazioni richieste.


Si era spesso divertito a prenderlo in castagna, come spesso rammentava a se stesso ripercorrendo le operazioni della giornata. Macché! BIP-BIP non aveva mai un’esitazione, un cedimento.


Questo sodalizio stava però per concludersi tragicamente.


Un giorno Biagio scoprì una risposta erronea, di un errore banale e macroscopico; sembrava tirata a caso, come fanno spesso gli alunni sorpresi impreparati e sprovvisti del coraggio di ammetterlo.
Provò e riprovò, ma le risposte erano sempre diverse e via via più stravaganti.
Ricontrollò allora il programma, ripercorse tutte le operazioni di apertura e avvio, cercò nelle proprie fasi di svolgimento le eventuali sviste. Nulla!


Fu a quel punto che avvilito e sempre più turbato cominciò a chiedersi se per caso non fosse stato contagiato da qualche malattia dei calcolatori.
Come una madre amorosa cominciò allora ad ascoltarlo, osservarlo, accudirlo e sostenerlo circondandolo di cure sollecite ed eccessive, quasi a sfogare l’inquietudine che si stava impossessando di tutto il suo essere.
Glielo avrebbero portato via? Lo avrebbero sostituito con uno funzionante? Era ancora in garanzia; che fare?
Mentire, tacere.


Quando però le pratiche cominciarono a restare inevase e il lavoro cominciò ad accumularsi troppo, fu per necessità costretto a denunciare il cattivo funzionamento del computer.
Il processo di revisione fu subito approntato e un tecnico della ditta costruttrice venne espressamente e sollecitamente a visionare tutti gli apparati: BIP-BIP venne letteralmente spogliato, sezionato e quindi ricomposto.
Il signor Biagio Arrigoni non si era allontanato mai e aveva seguito con trepidazione tutte le fasi di revisione e atteso con angoscia la diagnosi.


– Caro il mio signor Arrigoni -furono le testuali parole del tecnico al termine delle accurate indagini- la macchina funziona perfettamente!


Sollievo, grande sollievo, seguito subito dopo da una terribile ansia: e allora gli errori a cosa potevano essere attribuiti?


Il suo dilemma inespresso trovò risposta pochi giorni dopo: Biagio Arrigoni venne sostituito da un operatore mandato espressamente dalla Ditta per accertare il buon funzionamento della macchina, in attesa di un nuovo impiegato addetto. Era accaduto ciò che da Biagio non era stato affatto previsto; la notizia lo scosse a tal punto che se ne ammalò e fu costretto a casa.


Durante i primi due giorni la sua assenza non fu molto notata anche perché BIP-BIP aveva ripreso a funzionare egregiamente, smaltendo l’accumulo precedente.
Fu al terzo giorno che accadde qualcosa di inaspettato.
I segnali di stranezze iniziarono con acuti stridii, seguiti da schermate intere di Error in tutti i caratteri in dotazione, procedendo quindi con la stampa di pagine e pagine, il tutto in modo automatico e imprevisto.


Furono gli stessi tecnici a scusarsi con Biagio Arrigoni chiamandolo a casa e comunicandogli che la macchina sarebbe stata sostituita al più presto. Biagio fu cortese e premuroso e chiese ragguagli precisissimi sui tempi della sostituzione… Un chiaro progetto si era fatto strada nella sua mente.
Con il cuore in tumulto e il cervello in fermento, lucidissimo, elaborò un piano degno di un professionista.
Fu così che quella sera Biagio armato di guanti e di una grande borsa si introdusse con fare disinvolto nella stanza dove BIP-BIP era già pronto e inscatolato per la sostituzione.
Nessuno aveva fatto domande; non era anomalo che gli impiegati facessero gli straordinari.
Più difficoltoso fu trasportare i vari pezzi che componevano il computer, ma i viaggi erano stati ben concertati: la luce accesa in ufficio, viveri vari sul tavolo, luce accesa nei bagni, auto parcheggiata in posizione strategica e ben mimetizzata.


Anche nella sua nuova camera in pensione era tutto pronto.
Il salvataggio di Bip-bip  era avvenuto senza problemi ed era stata evitata una possibile rottamazione. Al progetto Biagio aveva dedicato tutto se stesso, incurante dei rischi e delle conseguenze. Non si era soffermato neppure a domandarsi se valesse la pena di buttare via tanti anni di lavoro e di carriera ineccepibile; lo aveva fatto e basta, spinto da una forza che non credeva di possedere.


Ancora oggi Biagio e BIP-BIP sono insieme, vivono nella casa in campagna che fu dei genitori di lui. Biagio gli racconta il variare dei paesaggi che mutevoli si susseguono davanti alla sua finestra nel mutare delle stagioni: i cipressi maschi svettanti e sottili e le femmine più paciose e piene che punteggiano ondeggianti i crinali dei colli e si stagliano nello sfondo a occuparlo tutto, le terre arate, nere di pioggia o grigie e polverose sotto i cieli d’estate, gli steli del grano verdeggianti e le gialle spighe pesanti, il volo pigro di uccelli e le fughe di stormi nei cieli neri d’autunno.


BIP-BIP continua con le sue stranezze; non c’è un grosso nesso tra le parole e i pensieri dell’uno e le stampe e le videate dell’altro, ma nessuno dei due se ne lagna.

© Testo – Salvina Pizzuoli
:: Editing a cura di Stefano Angelo ::

Immagine di sfondo realizzata da TheDigitalArtist (Pixabay licence)
Immagine “codice Matrix” presa dal sito PNGWing e ritoccata da Stefano Angelo

Questo racconto fa parte di una raccolta, di Salvina Pizzuoli, pubblicata nel 2016 (seconda edizione) da edida con il titolo di “Corti e fantastici

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Foto di una goccia sospesa

Goccia

:: di Salvina Pizzuoli ::

¿Qué es la vida? Un frenesí.
¿Qué es la vida? Una ilusión,
una sombra, una ficción,
y el mayor bien es pequeño;
que toda la vida es sueño

y los sueños sueño son.

PEDRO CALDERÓN DE LA BARCA “La vida es sueño

Gocce, gocce, gocce…
Sembrano simili, ma sono tutte diverse, ciascuna con la propria particolarità.
Dolci, salate, gonfie, sottili e lunghe, iridescenti, opache, veloci, pachidermiche, calde, gelide, penetranti, effimere.

Il paragone non regge?
Forse no perché nel mio immaginario sono solo femmine.
E femmine siano, sì.


Ipotesi 1

Siamo gocce, di un mare più grande.
Ci confondiamo in questa moltitudine, ma noi sappiamo di essere uniche e viviamo questa specificità, amiamo questa unicità.

Come gocce scorriamo, attraversiamo sentieri piani o impervi, discese che paiono salite, pericoli, tragedie di piccole gocce che sanno resistere fino in fondo o si dissolvono rapide o si seccano lente.

Sì, ho attraversato il mio sentiero e lasciato parte di me senza rammarichi, con consapevolezza poi, senza appartenenza agli inizi, quando si lascia, senza sapere.

Sì, mi piace questo paragone, questa metafora, questa similitudine.

Ho resistito, ho dato, non ho mai disperso?
Disperso sì, disperato no.

Chiusa come crisalide dentro la scorza della mia goccia: ho guardato fuori, ho visto, ho ammirato, non sempre ho afferrato il senso sfuggente, ma ammaliata ho goduto e mi sono nutrita di Amore e Bellezza; dentro il mio guscio protettivo e caldo ho percorso il mio tragitto come dentro una luce che non si è spenta mai, neanche ora che mi sento prossima al confine.

Confini, limitazioni.

Mi piace, anzi è già da tempo che mi stuzzica immaginare, anzi sostenere che come gocce in un mare più grande siamo vita che non si perde mai, scorre senza limiti e limitazioni per infilarsi in un tutto, fuori dalla crisalide, ma avvolgente e caldo, più indistinto, meno peculiare, più noi, senza io.

La fine del percorso ci fa paura.

Assuefatte allo scorrere ci sarebbe piaciuto all’infinito, vedere, guardare ancora, capire, imparare.
Ci hanno convinte che non si possa e prove schiaccianti lo possono confermare.

Ma con che occhio guardiamo?
Quello dell’involucro che da sempre ci copre e accompagna? che si evolve e decompone?
Non sa guardare bene, è perfettamente imperfetto.

Afflato, respiro, soffio, quanti sinonimi per l’immortalità!

Gocce e come tali, come acqua entriamo in un percorso più ampio perdendo spoglie che germoglieranno dentro altri percorsi, e ancora e ancora, imperituri e potenti.

Illusione?

Quante hanno fatto parte integrante del percorso.
Ma io lo so, sono vita della Vita che mi accomuna a tante altre che non scompariranno se non dentro un mare più vasto e meno imperfetto, dove riconoscersi o confondersi non sarà limitante.

Tutte?

Sì, il mare accoglierà come un grande abbraccio le imperfezioni e cattiverie e tristezze e meschinerie che ci hanno accompagnato, senza giudicare, senza assolvere, ma lasciando a ciascuna il peso del proprio personale fardello… che chissà, mescolato nel mare più grande, sarà poi più leggero?


Ipotesi 2

Gocce.

Si stemperano, evaporano, svaniscono, si dissolvono leggere.

Il calore prima avvolgente e protettivo, quasi un secondo involucro.
Il calore poi, penetrante, pungente e doloroso, scompone e decompone l’involucro originario.

Si spezza e si apre.

Leggerezza che abbaglia.

Nude, eteree, impariamo a volare, più leggere dell’aria.

Si sale, sciolte in particelle, sempre di più, minime ormai.

Senza sentire, senza essere.

Umidità che si nebulizza, iridescente.

Polvere d’acqua.

Senza sofferenza, senza timore, senza.
Nulla.

Una folata di vento più freddo. E ricadere come goccia, nell’eterno ritorno.


Ipotesi 3

Gocce.

Si gelano, s’induriscono, si gonfiano, si solidificano.

Il gelo prima avvolgente, quasi un secondo involucro.
Il gelo poi, penetrante, pungente e doloroso, scompone e decompone l’involucro originario.

Si chiude e s’irrigidisce bloccato.

Fissità.

Vedere solo in un punto.

Scoprire nulla.

Senza sofferenza, senza timore, senza.
Nulla.

Per sempre.
Nel ghiaccio per sempre.

© Testo – Salvina Pizzuoli
:: Editing a cura di Stefano Angelo ::
Immagine di copertina realizzata da Claudia Wollesen (Pixabay licence)

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Zoom della copertina Fatti e Fattacci al tempo di Firenze Capitale

Fatti e fattacci al tempo di Firenze capitale (1865 – 1870)

Questo libro è un omaggio alla città di Firenze per ricordare un evento che ha lasciato una profonda lacerazione nelle vite dei fiorentini di allora, abituati a una municipalità senza clamori. Alessandro Ferrini e Salvina Pizzuoli riportano, in questo libro, alcuni degli avvenimenti che hanno caratterizzato il quinquennio, raccontando fatti e fattacci di protagonisti della vita politica italiana del tempo insieme con le risposte della cittadinanza che, con occhio distaccato e ironico, li metteva alla berlina. Gli autori si augurano che i lettori restino piacevolmente incuriositi e sorpresi, come loro, nel leggere quanto raccontano dopo aver consultato le opere del periodo e i giornali dell’epoca.

La presentazione del libro è stata gentilmente scritta da Gianni Greco, artista fiorentino a dir poco poliedrico, noto soprattutto per le sue trasmissioni radiofoniche.

Firenze venne a dir poco stravolta, snaturata, da questo evento: mura decapitate, il Mercato Vecchio e il Ghetto vennero distrutti così come case-torri, strade, piazze, vicoli e botteghe… Il costo della vita aumentò, come la richiesta di alloggi e Firenze accolse le prima case “prefabbricate” d’Italia in legno e ferro.

Il libro si apre raccontandoci un passaggio importante per i fiorenti. Ovvero l’annessione al Regno di Sardegna del Granducato di Toscana. Un’annessione a una monarchia costituzionale, decisa tramite il plebiscito dell’11 e 12 marzo 1860. Su un totale di 534000 iscritti (uomini con più di 21 anni di età), partecipò al voto il 73,3% degli aventi diritto. 366571 votarono per l’annessione, 14925 per il regno separato e 4949 furono i voti nulli. Per dovere di cronaca aggiungiamo che nelle stesse date si svolse il plebiscito anche in Emilia (526218 iscritti; 427512 votanti, ovvero l’81,1%; 426006 favorevoli; 756 contrari; 750 nulli). Per avere maggiori informazioni su tutti i plebisciti visitate la pagina del professore Franco Bampi.

Nel libro non si parla solo dell’architetto Giuseppe Poggi che tra il 1860 1 il 1880 si incaricò del Piano regolatore della città, ma anche dell’architetto Giuseppe Martelli che si occupò dell’Esposizione italiana del 1861. In aggiunta segnaliamo un articolo, ben fatto, di Daniela Cavini.

Firenze, nel giro di poco, dovette trasformarsi completamente dal punto di vista architettonico ma nel libro si parla anche di una famosa gara di biciclette, della Massoneria, di Almanacchi e Lunari del tempo. Visitando tuttatoscana, il sito Internet degli autori, troverete immagini e articoli che arricchiscono ulteriormente la comprensione di questo passaggio storico importante.

Ecco la copertina del libro:

Copertina del libro di saggistica "Fatti e Fattacci al tempo di Firenze capitale (1865-1870)" creata da Lamberto Salucco
Fatti e Fattacci al tempo di Firenze capitale (1865-1870) – saggistica – 2016 – edida

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