Il bacio dei vecchi
:: di Daniela Alibrandi ::
“Nel bacio dei vecchi c’è tutto” ricordo che pensai quel pomeriggio d’autunno, seduta su una panchina del Pincio. Andavo sempre lì quando qualcosa mi tormentava, e aspettavo che il sole tramontasse oltre la terrazza che dava su Piazza del Popolo, inondando di luce forte e calda le cupole di Roma.
Lui mi aveva lasciato e ora guardavo con rabbia il diario e i libri dove avevo scritto centinaia di volte il suo nome. Mi sembrava di essere calata in un baratro senza possibilità di ritorno. Il mio primo amore, quello che poeti e scrittori hanno sempre decantato come il sentimento dei banchi di scuola, se n’era andato senza darmi un perché.
Iniziava l’autunno e io avvertii una serie di brividi. Faticavo a capire se fossero dovuti al fresco serale o alla solitudine con cui mi accingevo a trascorrere l’inverno senza di lui. Non piangevo, no. Ciò che sentivo in quel momento andava ben oltre le lacrime.
Il sole iniziava la sua rapida discesa e io non sapevo come affrontare la sera, la prima sera nella quale non avrei pensato a lui se non con una rabbia infinita. Fu in quel momento che una coppia di anziani si sedette sulla panchina avanti alla mia. Mi davano le spalle e il sole che filtrava attraverso i loro capelli svelava la loro età. Seduti vicini si guardavano e si tenevano le mani e, quando parlavano, cercavo di immaginare i loro pensieri.
Lei era curata, pettinata con uno chignon basso sulla nuca e lui ancora aveva buona parte della chioma, che ora veniva scompigliata dal leggero vento dell’autunno romano. Indossavano già il cappotto e sembrava avessero molto da dirsi, mentre si stringevano sempre di più l’un l’altro. Poi iniziarono a baciarsi, prima sulle guance, poi sulle labbra, come due adolescenti. Sempre più affondavano le loro bocche, e mi sembrò di intuire in quei movimenti il desiderio o la reminiscenza di una grande passione. Ricordo che mi chiesi se non avessi frainteso la loro età, magari ingannata dal sole che abbagliava sempre più il mio sguardo.
Si alzarono dopo un po’, lui barcollava mentre offriva la mano alla sua dama, per farla alzare dalla panchina. Quando lei si levò si tennero stretti per trovare l’equilibrio e poi insieme, sottobraccio, si incamminarono per il viale ormai quasi in ombra. Li seguii, volevo capire. Non fecero caso alla mia presenza alquanto vicina e parlavano forte, persi in quel mondo dove ormai arrivano solo i suoni che si vogliono udire.
“Stasera la prendiamo una pizza?” diceva lui, che ora in posizione eretta mostrava un’età avanzata, con la schiena un po’ curva.
“Lo sai che il dottore te l’ha proibita!” lo ammoniva lei mentre, ancora dritta e con portamento fiero, sembrava stare al suo passo solo per farlo contento.
“Allora facciamo mezza per uno, io voglio festeggiare!” suggerì lui. Lei non rispondeva. Gli poggiò delicatamente il capo sulla spalla.
“E va bene, però una margherita e pure scondita, d’accordo?” Solo la voce della donna, leggermente stridula, tradiva la sua età. Adesso era lui a non parlare. Le carezzò un attimo lo chignon, senza scompigliarle i capelli.
“Va bene, come vuoi tu!” Erano alquanto alti e tuttora magri, avvolti nei loro cappotti di lana dal taglio non più di moda. Mi venne persino da immaginare che bella coppia dovevano aver formato da giovani.
“Però domani mi porti a trovare Giannina?” gli chiedeva lei.
“Lo sai che ti fa male ogni volta che andiamo là! Poi soffri per tanti giorni, almeno oggi non pensiamo a lei!” rispondeva lui, in un’amorevole supplica. Lei sembrò scostarsi per un momento, quasi imbronciata, e subito lui:
“Dai, lo sai che ci andremo presto e le portiamo un bel mazzo di fiori, te lo prometto!” e la tirò più forte verso di sé. Ora lei gli carezzava i capelli e non rispondeva. Si strinsero ancora di più, come per affrontare forse l’ultimo inverno che avrebbero potuto vivere insieme, e scomparvero nell’oscurità di un portone in ferro battuto, in un palazzo antico della Roma del centro.
© Daniela Alibrandi
L’immagine utilizzata è una versione modificata, in bianco e nero, di un dipinto di Max Ernst – Il bacio – 1927
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lo trovo molto delicato. Forse Giannina è una figlia che non c’è più, ma l’accenno è volutamente lasciato aperto.
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