D. e G.
:: di Umberto Gorini ::
Chiuso. Finito. Concluso!
Questa endíatri risuonava nella testa di Dari mentre camminava a passi lenti. La sua mente era tutta un turbinio di pensieri e in completo tumulto.
Avrebbe voluto correre, correre, arrivare di slancio e una volta arrivato, guardarlo negli occhi e gridargli tutto d’un fiato quello che covava in sé da giorni: il loro rapporto era chiuso! Finito! Concluso!
Ma il suo lento e strascicato camminare sembrava fare da contrappasso ai suoi pensieri.
Gli venne in mente la loro prima uscita, per così dire, pubblica. Quando avevano deciso di fare il cosiddetto coming out. E poi tutte queste parole inglesi…
Da tempo ne parlavano, discutevano e poi rimandavano sempre la decisione di uscire allo scoperto. Loro due soli contro tutto il paese!
In verità non è che fossero proprio gli unici. Se ne accorgevano da qualche occhiata furtiva, da qualche stretta di mano alcuni secondi più lunga, da uno sfiorarsi che poteva sembrare casuale. Giusy gli aveva parlato dell’istruttore della palestra. Un tipo ipertrofico, tutto muscoli e testa rasata che stava sempre vicino a giovani esili, ma desiderosi di indossare magliette attillate, a cui lanciava lunghe e interessate occhiate e con la scusa di mostrare la postura adatta si soffermava spesso su quelle giovani carni da rassodare.
D’altra parte Dari aveva letto da qualche parte che si stimasse – stime affette da pericolose imprecisioni – che uno su cento fosse omosessuale. Il paese contava circa diecimila abitanti e dunque molto probabilmente loro due erano in buona compagnia.
Una compagnia evidentemente e abilmente dissimulata, specialmente dai “benpensanti”, persone di “peso” nella comunità, che mantenevano una facciata di rispettabilità, con mogli e figli. Eppure qualche volta la facciata mostrava piccole crepe, come quella volta che avevano sorpreso il direttore della banca in un locale, particolare, in una grande città lontana a sufficienza dal loro paesotto e dove G. e D. andavano a volte per avere un po’ di tranquillità e svago. Stava uscendo dal suddetto locale e alla loro vista subito aveva voltato l’angolo ed era sparito in un battibaleno!
Giusy alla fine l’aveva convinto, o meglio spinto e insistito così tanto che Dari aveva infine acconsentito. Lui era più riservato, timido e in fondo titubante. Ma nel sesso curiosamente era l’opposto, era proprio Dari a essere il più attivo.
Erano dunque arrivati o meglio entrati una domenica mattina, prima di mezzogiorno, nella piazza del paese, mano nella mano.
Il vociare, le chiacchere, il rumore di fondo, il tramestio tipico del giorno festivo era cessato di colpo e qualche cane aveva addirittura smesso di abbaiare.
Era calato un silenzio, un silenzio nel quale sembrava quasi poter sentire tutti gli occhi dei presenti ruotare nelle loro orbite e puntare verso di loro.
Questo stato continuò finché non arrivarono alla panchina sotto il monumento ai caduti, dove tre ragazzine li guardavano con la bocca spalancata. Appena Giusy e Dari fecero segno di sedersi, le ragazze si alzarono di scatto e sempre fissandoli si allontanarono di qualche metro.
Si sedettero lentamente. Le loro mani erano ancora l’una nell’altra, ma tremavano leggermente. Intorno a loro si era creato un vuoto, un cerchio di assenze, come se tutti gli altri esseri umani, ad eccezione di loro due, fossero stati risucchiati via.
Dari e Giusy si guardarono negli occhi, un quasi impercettibile cenno di assenso, si alzarono e andarono piuttosto lentamente verso l’altro lato che conduceva fuori dalla piazza.
Dopo, nell’intimità della casa di Giusy, si abbracciarono e si guardarono, ridendo forte per scaricare la tensione. Erano usciti allo scoperto e in quel paesone bigotto, retrogrado e di mentalità gretta non era successo proprio niente. Ridevano increduli di avercela fatta così facilmente, anche se Dari ancora tremava. Così credevano…
… e invece… Dari ripensò al dopo. Da quel giorno per loro finì quella parvenza di pace di cui avevano goduto, anche se voci e vocine da tempo maliziosamente giravano più o meno leggere su di loro. Da allora fu un’infinita serie di lazzi, sberleffi, offese, insulti…
Se da soli venivano quasi sempre bersagliati, ad alta voce, da epiteti dispregiativi come frocio, ricchione, finocchio, insieme queste ingiurie venivano beffardamente declinate al plurale ed ecco: froci,con variazioni tipo frocetti o anche frocioni, accanto a ricchioni o a volte, quasi benevolmente, ‘ricchioncelli’ o finocchietti.
Ogni tanto dovevano anche ascoltare voci dialettali di altre regioni recuperate dagli anziani che da giovani avevano cercato lavoro e fortuna in tutt’Italia, come bardassa, checca, culattone, invertito e da parte di un vecchio e mite professore di latino e greco addirittura il termine ‘uranisti’ che lasciò molto perplessi tutti gli astanti. G. e D. non reagivano, anzi sorridevano e restavano in silenzio con aria di sfida, ma sotto sotto ne risentivano e Dari ancora più di Giusy che era stato sempre più sicuro, quasi tracotante.
Un ragazzotto tarchiato, un bullo del paese, non si limitò agli insulti e una volta si parò loro davanti, lanciando strani gemiti e ondeggiando il posteriore. Mal gliene incolse, perché Giusy con un poderoso calcio, lo fece rotolare sul selciato e i guaiti divennero allora molto reali.
Qualche settimana più tardi sempre sulla via che portava alla piazza si trovarono la strada sbarrata da quattro giovani di un paese vicino. Allora era considerato normale un campanilismo esasperato che spesso sfociava in risse tra i giovani di paesi limitrofi. Di motivi se ne trovavano sempre. Un’occhiata di traverso, un complimento un po’ troppo spinto a una ragazza, le partite di calcio che finivano con l’arbitro chiuso nello spogliatoio e botte da orbi tra le due tifoserie.
Uno dei quattro ragazzotti della squadra ‘punitiva’ li affrontò urlando – Eccoli i ricchioni. Adesso vediamo se vi raddrizziamo a mazzate! – e si lanciò per dare uno spintone a Giusy, che era il più vicino. Ma lui, assiduo frequentatore di palestre e dedito alla boxe lo stese con destro potente alla mascella, mentre il secondo ricevette una gragnuola di pugni in faccia che gli fecero schizzare il sangue dal naso. Dari non era proprio una macchina da guerra, ma riuscì a piazzare un bel calcio nella parte più sensibile del terzo giovinastro che si contorse a terra dal dolore. Il quarto, vista la mala parata, si allontanò velocemente bofonchiando oscuri propositi di vendetta.
Quell’episodio segnò una svolta sorprendente nel rapporto tra loro e il resto del paese. Il medico, il Dott. P. condannò la fallita spedizione punitiva dei bulli del paese vicino con le seguenti parole: ‘I nostri froci, semmai, li meniano noi!’
La rivalità campanilistica aveva addirittura vinto l’omofobia!
Da quella volta anche i più facinorosi si tennero alla larga dalla coppia e i commenti offensivi e gli insulti cominciarono a scemare. Allusioni e paroline maliziose riaffioravano ogni tanto ma di fronte alla assoluta mancanza di reazione di G. e D., erano come una leggera increspatura sull’acqua ferma di uno stagno. Subentrò una fase di stanca, alla fine ripetere sempre le stesse parole era noioso e forse si poteva affermare che il paese in qualche maniera, faticosamente, pian piano, si fosse abituato a loro.
In questa “nuova fase” G. e D. godettero di una relativa tranquillità, ma erano felici?
Giusy abitava col padre in una casetta. Il suo appartamento aveva un ingresso separato, la qualcosa gli garantiva un minimo di libertà. Il padre – vedovo e in età avanzata – da tempo non usciva quasi più da casa.
Dari invece viveva con la nonna, non autosufficiente, che quasi sorda e su una sedia a rotelle dipendeva in tutto e per tutto da lui, peraltro il nipote prediletto.
E proprio adesso, dopo tutto quello che avevano subito, affrontato e quasi vinto la loro battaglia e potevano vivere il loro amore, lui voleva porre fine al tutto? E poi perché? Già perché? Che cosa era successo? Niente. Era finita. Inutile cercare spiegazioni o giustificazioni a posteriori. Tutto inutile. Dari lo sentiva prepotentemente dentro di sé, proprio in mezzo al petto.
Era arrivato davanti alla porta di Giusy, bussò e lui aprì con un sorriso.
Dari lo guardò negli occhi e fece per pronunciare quelle tre parole, ma non disse niente, abbracciò Giusy così forte, quasi un avvinghio e cominciò a baciarlo sulla bocca. Un bacio interminabile e profondo.
Giuseppe rimase stupefatto e lo guardò perplesso negli occhi. Ma Dario non lasciò più le sue labbra.
Basta? Finito? Concluso?
© Testo e immagine – Umberto Gorini