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Il Bar delle Zie

Il Bar delle Zie

:: di Bernadette Lauro ::

Sono lì, con pensieri assortiti – è un esercizio di parole propizio a risolvere il caso…
Quale caso? Beh, ora che mi trovo in ballo, devo ballare… un ballo turchese, come questa camicia, come il colore orrendo di questo tavolo…
e lo guardo… (guardo cosa?) le parole sono troppo lente, i pensieri più veloci…

Ricominciamo: sono lì, per caso, con pensieri assortiti, alcune parole mi sfuggono e… devo risolvere il caso. Quale caso? Ah sì, il fucile, quel dannato fucile davanti a me, col prezzo sopra e che indica… indica di là. Ecco perché sono lì, per risolvere il caso…
Ma perché mi trovo lì? Perché in quel bar? Perché con la camicia rosa? Non era turchese? Il ballo! Mi ricordo ora del ballo. È un caso propizio? L’assortimento di pensieri… oddio no!

Ricominciamo daccapo… ero lì per caso. C’era un fucile davanti a me, avevo una camicia turchese, come il tavolo al quale ero seduta. Un assortimento di colori strano. Ero lì per caso… Cosa ho visto? Non lo so, so solo che il fucile indicava di là e c’era un prezzo… un prezzo, sì un prezzo.

Tesoro… (ero lì per caso…) tesoro…

– Tesoro svegliati!
– In che senso? (apro gli occhi e vedo la faccia divertita di mio marito)
– Hai ripetuto tutta la notte: assortimento! Ahah! Assortimento! Ma di cosa?

Mi prende in giro, ma io mi sento intontita, come se avessi attraversato un mare in tempesta. Eppure… non riesco a ricordare. Ho fatto un cattivo sogno? – Buongiorno – gli dico. Non sono di buon umore come lui. Mi alzo, mi guardo allo specchio del bagno e lo stordimento inizia a svanire. Lo sguardo da cupo e socchiuso pian piano si apre. L’acqua fresca fa il suo dovere. Venite particelle di H2O… rinfrescatemi. Gli angoli del viso si dirigono verso l’alto come sollevati da fili trasparenti e insorgo: è il mio primo giorno di lavoro! Lo urlo, e mio marito, lo vedo col pensiero, sorride, di là, mentre legge il giornale. È contento che abbia questa novità, lo stavo assillando con le mie lamentele, negli ultimi tempi percepivo una certa insofferenza, cosa che gli capita quando è arrivato allo stremo della pazienza. E di pazienza ne ha sicuramente tanta. Poverino, i preparativi per l’inaugurazione sono stati faticosi per me e per lui che mi ha dovuto sopportare.

Mi precipito davanti all’armadio, prelevo il vestito che avevo appeso alla gruccia iersera e mi proietto mentalmente nel mio nuovo status di aiuto-vice-assistente alla cassa del Bar delle Zie di via Pigna 37.

C’è voluta una lunga discussione prima di partorire il titolo del mio ruolo, tra le zie del Bar di via Pigna 37, prima che diventassimo le manager del Bar delle Zie di via Pigna 37. Aiuto-vice-assistente-alla-cassa suona altisonante. Nella mia previa esperienza lavorativa come capo ufficio, dello studio commercialista associato Peroni&Co. Srl, conclusasi con il pensionamento nei miei appena compiuti 62 anni 3 mesi e 7 giorni, con 37 anni virgola cinque di contributi e 45 virgola cinque di anzianità, avevo capito che il ruolo di segretaria, con il suo orario ridotto e le lunghe chiacchierate con i clienti in attesa di parlare con il titolare, era di gran lunga più vantaggioso del mio. Come capo ufficio avevo sgobbato sulle dichiarazioni dei redditi dalla mattina alla sera nei mesi primaverili e sulle fatturazioni per il resto dell’anno. Pertanto avevo insistito, con le zie del bar di via Pigna 37, che semmai fossimo riuscite a prelevare la gestione del locale, io avrei ricoperto esclusivamente un ruolo secondario e di intrattenimento della clientela. Purtroppo, però, non c’erano ruoli di intrattenimento, ma solo un lavoro alla cassa. Al che mi sono impuntata, anche se ne fossi stata responsabile, avrei preteso ufficialmente un titolo secondario, e mi sarei comportata di conseguenza.

Nell’ora successiva al mio risveglio ero lì, a via Pigna 37, al Bar delle Zie, per preparare l’inaugurazione. C’erano tutti: Totò, con il suo piglio romanesco e l’autoironia di chi convive con una figura un po’ malformata dalla nascita, e con gli sfottò raccolti da amici affezionati e compagni bulli. E c’erano le zie: Matilda, Rosa e Veronica. Le raggiunsi e salutai: – Cos’è quella faccia? Non è tutto pronto per l’apertura? – Sembravano deluse. Mentre mio marito chiacchierava ancora con il posteggiatore abusivo, Rosa mi disse – È passato il vigile e ci ha detto che manca un’autorizzazione…

Cosa? Io mi ero sbattuta per tutti gli uffici possibili, passando intere giornate in Prefettura e all’Ufficio Igiene, ero certa di aver ricevuto tutti i certificati necessari! cosa mancava? Il permesso di soggiorno di Abdi? Ma se era tutto chiarito, Abdi aveva ottenuto un certificato di idoneità all’esercizio della professione di barista, aveva fatto il corso, era risultato anche il migliore tra i partecipanti, e poi lo conoscevamo bene e potevamo garantire per lui! Cos’era successo?

D’improvviso l’energia con cui avevo accolto nei miei pensieri il mio primo giorno di lavoro stava dando precedenza allo sconforto. Non avevamo un altro barista. Totò, col suo metro e quaranta non arrivava nemmeno a porgere le tazze sul banco, essendo questo molto profondo. Lo so, lo avevamo previsto che sarebbe stato un problema, qualora Abdi si fosse assentato. Contavamo di costruire una pedana lunga quanto il banco per consentirgli di raggiungerne la profondità, ma i fondi raccolti ci erano bastati a malapena per l’apertura. Oddio quanti pensieri, devo riprendermi e agire.

Mi giro verso mio marito e gli ordino di risalire in macchina. Si va dal brigadiere Saltini.

– Brigadiere buongiorno!

Urlo con un gran sorriso. Mio marito dietro. Non so quale santo mi ha fatto incontrare un uomo così intelligente da saper stare un passo indietro al momento opportuno. Il brigadiere mi guarda con un’espressione a metà tra il sorriso e il “rieccola, mi era mancata da ieri…”

– Brigadiere mi aiuti, sono in un’impasse…
– Che è successo signora Mara, non dovevate aprire stamattina?
– Un guaio.
– Si calmi, vedo che suo marito non è agitato, quindi dev’essere qualcosa di risolvibile. Mi segua nel mio ufficio.

Mio marito non si agita mai… penso.

– Il ragazzo!
– Quale ragazzo?

Il brigadiere fa finta di non capire, ma sa che io so che lui sa e che si sta preparando alla sfuriata, sta cercando di prendere tempo.

– Abdi, brigadiere, si ricorda?
– Mi ricordo, signora, non c’è bisogno che mi racconti tutte le volte quant’è stato sfortunato il povero ragazzo che ha attraversato il mare per arrivare nel nostro Paese, eccetera eccetera. Vuole un caffè?  

E mi indica la macchina espresso automatica.

– Brigadiere, sono io che dovrei offrirle il caffè al Bar delle Zie, se solo avessimo potuto aprire…
– E perché non potete aprire?
– Perché Abdi non ha l’autorizzazione, a quanto pare. È passato il vigile per i controlli e ha dichiarato che Abdi non può lavorare. Non ho capito bene come sia possibile, fino a ieri tutti i certificati e le autorizzazioni erano a posto!
– Signora, se Abdi non può lavorare il bar si può aprire lo stesso, non crede?  (Sorride)
– Mi vuole provocare? (Penso: Mara stai calma, non esplodere. Sorridi e fai un respiro profondo) Brigadiere, lei lo sa che questo è un progetto d’integrazione, vero? gliel’ho spiegato. Senza Abdi, niente zie e niente bar. Fondi persi, contribuenti arrabbiati e io e le zie veniamo a fare il “picchietto” qui davanti al Prefetto, come abbiamo già fatto l’anno scorso, si ricorda?
– O mamma mia, signora Mara, il picchetto, vorrà dire? se me lo ricordo, per poco la famiglia non mi cacciava di casa… pure la notizia delle zie incatenatesi davanti alla Prefettura avete fatto pubblicare… che disonore!
– E allora, che vogliamo fare? C’è questa autorizzazione o no?
– Signora, non dipende da me. Pare che, purtroppo… (e si mette a esaminare una carta) sembra che… mi sembra di capire che… abbiano revocato il permesso di soggiorno a tutti gli emigrati come Abdi, che sono arrivati il… 

Non lo ascoltavo più. Ormai ero su tutte le furie. Non avrei saputo con chi prendermela e quindi decisi la ritirata preventiva. Quando il Brigadiere Saltini alzò gli occhi vide solo la porta che sbatteva dietro di me. – Andiamo! – dissi a mio marito che era rimasto ad aspettare nella sala antistante all’ufficio del Brigadiere.

Uscendo noto un fucile, in una teca, e attaccato al vetro della teca un biglietto… uno di quelli che si attaccano e si staccano. Se solo li avessimo potuti usare quando lavoravo alla Peroni&Co. Quel tirchio del titolare non voleva spendere soldi in cancelleria e ci costringeva a scrivere le note su una lavagna. Tornavo a casa con i vestiti sporchi di gesso… ma acqua passata, l’importante è che sono riuscita a fargli scucire un contributo importante alla raccolta fondi per l’apertura del bar.
Mi avvicino e leggo sul biglietto un numero. Lo stacco, lo osservo meglio, sembra un numero di telefono, ma finisce con troppi zeri. È un prezzo. Perché dovrebbe esserci un prezzo su questa teca? Mio marito si avvicina e mi chiede cosa mi ha colpito di quel fucile in mostra. Gli rispondo che mi era sembrato di averlo già visto, e usciamo.

© Testo – Bernadette Lauro
:: Editing a cura di Stefano Angelo ::
Immagine di copertina realizzata da StockSnap (Pixabay licence), ritoccata da Stefano Angelo

:: Nota: Questo racconto, ispirato da una foto (di Martin Kollar) mostrataci da Mattia Grigolo durante un suo corso di scrittura creativa del 2019 (organizzato da ItaliaAltrove Francoforte), è un frammento di una raccolta – I racconti della donna con il fucile – che avrebbe dovuto dare vita a una pubblicazione cartacea. Purtroppo, causa COVID e impedimenti vari, il progetto si è arenato. Di tanto in tanto pubblicheremo alcuni di questi frammenti per rievocare un’esperienza, quella del corso, che ha comunque dato il “la” a nuove avventure su questo blog ::

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